Empowerment | Quando il mondo è nelle "nostre" mani

“Ogni uomo, in definitiva, decide da sé.
E, in ultima analisi, l’educazione deve essere
educazione a saper decidere”.

(V. Frankl)

E’ bello pensare che la realtà possa cambiare, possibilmente migliorare, cioè essere certi, in qualche modo, che sia possibile acquisire “potere reale” sulla propria vita, orientare l’esistenza aprendosi così a nuove responsabilità e a nuovi percorsi.

Sono in molti a credere che un atteggiamento “pessimista” o “negativo” sia segno di una maggiore comprensione delle vicende della vita, della realtà lavorativa, perché ritenuto a torto o a ragione, “realista”.

È facile sentir dire alle persone che tutto va male, che ieri le cose andavano meglio e che il futuro non ci riserva niente di buono. Il pessimismo blocca ogni processo di miglioramento, ogni cambiamento, in fondo è inutile impegnarsi perché non cambierà mai nulla. Ma se per un momento cominciamo a sostituire il “negativo” con un modo di pensare e di vedere la vita in “positivo” ci accorgiamo che il “pensare negativo” non solo blocca ogni nostra iniziativa, ma è debilitante e scoraggiante, non fa crescere la persona.

L’empowerment mette in gioco le competenze e le responsabilità degli uomini e delle donne, in particolare di chi non ha potere e non esercita un reale controllo sulla sua vita e sugli avvenimenti che vive, così da far fronte ai cambiamenti o al contrario di produrre novità significative. Questo concetto nasce da un tentativo di riscatto di chi potere non ne ha, di chi non fa “storia” perché non conta nulla e non fa “storie” perché si lascia facilmente intimorire.

Per accrescere il “potere” sulla propria vita, il primo passo è aumentare il “controllo”, poi… la possibilità di sperimentare “vie” nuove, percorsi nuovi per rafforzare la stima di Sé e la fiducia verso il futuro, e successivamente… avere la possibilità di sviluppare le capacità ed abilità personali, aiutare a maturare anche una comprensione critica della realtà sociale nella quale la persona vive, lavora ed opera.

Solo così, giorno dopo giorno, la persona umana, che pensa, ama e agisce, può potenziare le proprie capacità. È possibile elaborare strategie adeguate per raggiungere obiettivi, sia personali che collettivi, e così facendo si pensa la propria esistenza in termini di “percorso” verso una “meta” finale.


Mettersi nei panni dell’altro

Per poter ottenere i risultati desiderati è necessario avere anche la capacità di entrare in relazione con gli altri. Le “relazioni” possono aiutare le persone a crescere, ma hanno anche la capacità di impedire la crescita e lo sviluppo. Per crescere in modo equilibrato è importante ascoltare, mettersi nei “panni dell’altro”, perché solo così i rapporti sono vissuti come fonte di libertà e d’amore perché divengono pienamente vivificanti. Relazioni sane rendono le persone disponibili alla condivisione delle conoscenze e delle emozioni, dei vissuti e delle aspettative. Si tratta di imparare ad “essere con” perché l’empowerment è un modo d’essere, una condizione, un atteggiamento, un modo di porsi nei riguardi di se stessi e degli altri, per questa ragione ha qualcosa anche nel mondo del lavoro e della politica.

In politica l’empowerment è la possibilità di ripensare la vita della città a partire dagli ultimi, dai soggetti svantaggiati, attraverso l’informazione e la formazione, al fine di favorire l’accesso alle risorse al fine di far crescere la partecipazione di tutti alla vita della città, favorendo l’assunzione di responsabilità nelle scelte che coinvolgono i cittadini. Questo concetto permette di superare, almeno in teoria, la distinzione tra chi pensa che sia importante l’individuo e la sua capacità di compiere scelte: “libertà”; e chi crede nel valore della “giustizia sociale” e dell’egualianza.

Nell’era della globalizzazione, si sente la necessità di “acquisire potere” da parte di tutti, donne e uomini, abitanti il pianeta di poter influenzare le sorti del mondo e non lasciarlo solo in mano alle “multinazionali”. Di fronte alla reale ed effettiva concentrazione del potere, politico ed economico, nelle mani di poche persone che governa oggi il pianeta, si pensa ad una “globalizzazione dal basso”, alla progettazione di un “altro mondo possibile”. Di fronte alla concentrazione dei saperi e delle informazioni, si pensa ad un modello sociale dove l’accesso al sapere è universale e la formazione delle persone è permanente. Di fronte all’erosione degli spazi di democrazia, al disimpegno generalizzato, si propongono modelli decisionali dove le decisioni sono condivise. Questa è la premessa per realizzare il “bene comune” che nasce dalla possibilità per le persone di “avere ciò che gli spetta”, cioè la possibilità di realizzare se stesse, pienamente.

Nelle organizzazioni siano esse aziende, imprese, associazioni, scuole, partiti ed altre forme, il modello organizzativo gerarchico, è tramontato. Il vecchio modello prevedeva gli ordini a “cascata”, dall’alto verso il basso e il rapporto privilegiato era dal centro alla periferia. La tendenza, in questo modello organizzativo, era di eseguire l’ordine ricevuto dal superiore e non prevedeva alcun tipo di responsabilità, ciò generava nei “dipendenti” frustrazione e alienazione. Anche la “catena di montaggio” di E. Ford, nasce da questa visione “scientifica” dell’organizzazione.

L’attuale modello organizzativo, basato sulla necessità di condividere conoscenza e sull’empowerment, promuove la partecipazione e il coinvolgimento personale di ciascuno e di tutti, prevede la responsabilizzazione diffusa, lo sviluppo dell’autostima, la collaborazione e la valorizzazione reciproca. La persona con il suo vissuto, le esperienze, le conoscenze e i sentimenti che possiede, in questa visione, è la vera “risorsa” per ogni organizzazione.

I cambiamenti innescati dall’economia globale possono essere gestiti solo se ciascuno ha fiducia nelle proprie possibilità e non teme i mutamenti in atto perché sente che possono essere gestiti con gli altri, per questa ragione è possibile correre dei rischi e se vengono commessi errori non si ha paura del giudizio altrui, socializza le sue informazioni e prende iniziative. Nelle organizzazioni, ed in particolare, nel mondo del lavoro, si sente parlare di “leadership”.

Chi è il “leader” nelle organizzazioni? È chi è capace di condividere decisioni, di stimolare autonomia e senso di responsabilità, chi è capace di individuare i bisogni (formativi, relazionali ed esistenziali) dei sui “collaboratori” al fine di favorirne la crescita professionale. Leader è colui che sa delegare che vuole promuovere comunità nell’organizzazione nella quale lavora, che assume il gruppo come modello organizzativo per favorire la condivisione di conoscenza, la ricerca di soluzioni innovative ai problemi, all’interno di una strategia aziendale.