Millenovecentosettantotto

Frequentavo la scuola media nel millenovecentosettantotto quando l’On. Aldo Moro fu rapito ed ucciso dalle Brigate Rosse. I tragici episodi erano visti in TV, letti sui giornali ed erano argomento di conversazione quotidiana in casa, a scuola e con gli amici. Quella cronaca amplificata era sotto gli occhi di tutti; ora è storia e viene raccontata nei manuali.

Iniziai così ad incuriosirmi del mondo oltre l’uscio di casa. Quell’episodio fu un momento di maturazione importante nella mia vita. Ma non è per ragioni biografiche che parliamo del millenovecentosettantotto.

In quei giorni era chiaro a tutti che il futuro dell’Italia sarebbe stato legato a quei fatti. Si era al di là della cronaca. Si comprendeva chiaramente che attorno a quell’episodio batteva forte il cuore della storia.



Il rapimento dell’On. Aldo Moro

Il corpo dell’On. Aldo Moro trovato all’interno di una Renault rossa, a due passi dalla sede della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista Italiano, nel centro storico di una Roma blindata non è casuale. Simbolo del potere politico, il Presidente della Democrazia Cristiana – demiurgo del compromesso storico – è consegnato alla storia senza vita e insieme con lui la sua idea di “democrazia compiuta” e di alternanza di governo tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista.

Terminava così, il 9 maggio 1978, la vita di un politico onesto, libero, amante del bene comune, docente universitario, attento ascoltatore della società italiana, uomo di cultura e cristiano maturo. Egli fu infatti tra i più incisivi esponenti del cattolicesimo democratico in Italia, amico sin dagli anni dell’università di Mons. Giovan Battista Montini, futuro Paolo VI. Insieme guidarono la FUCI ed insieme fronteggiarono il fascismo prima e lo Stato fascista poi, e non mancarono all’appuntamento di aspro confronto con lo Stalinismo e l’egemonia del Partito Comunista nel primo dopoguerra.


La guerra fredda

Quest’omicidio è la sintesi del confronto tra due “imperialismi”: capitalista e comunista. Entrambi i sistemi avevano bisogno di assicurarsi il rigoroso controllo su ogni mutamento nello scacchiere politico ed economico mondiale.

Nel millenovecentosettantotto siamo in piena guerra fredda. Uno scontro culturale, etico, politico, militare ed economico che ha le radici nel “pensiero ideologico” dell’ottocento. Un confronto senza esclusione di colpi. È noto che il concetto di “guerra fredda” è la cornice che permette di comprendere le dinamiche geopolitiche dopo il secondo conflitto mondiale, come l’esigenza per entrambi i blocchi di creare società stabili e al tempo stesso d’influenzare ideologicamente la parte avversaria. Solo una lettura superficiale fa apparire le super potenze in opposizione tra loro, mentre in realtà esse erano alla ricerca di convergenze su interessi reciproci e comuni all’interno di un disegno organico più complesso.

Il confronto e lotta tra i blocchi nei fatti era combattuta con ogni strumento e ad ogni livello, senza esclusione di colpi ed utilizzava anche le “emozioni”: la paura. Il potere (di ogni colore) non si fa scrupoli, l’obiettivo è sempre lo stesso avere il “controllo” non solo sull’economia ma anche sulla cultura.

Il capitalismo (economia di mercato), infatti, trovava il suo fondamento nei valori della libertà individuale (cultura), mentre il comunismo (economia statalista) sul valore dell’uguaglianza (cultura).

Un altro elemento di “cultura” è la comune nascita da un atto rivoluzionario: la rivoluzione americana nel 1775 e la rivoluzione dei soviet nell’ottobre del 1917.

Infine le due superpotenze avevano entrambe una duplice necessità: conservare l’equilibrio deciso a Yalta e al tempo stesso confrontarsi, anche militarmente, ma in scenari secondari, sempre al riparo da guerre di distruzione totale (guerra nucleare).

In questo scenario l’Italia membro della NATO e Fondatore dell’U.E. rappresenta un territorio di confine, importante e strategico.


La corsa al riarmo nucleare

Negli anni ottanta il mondo intero fu coinvolto in una folle corsa al riarmo nucleare voluta dall’URSS e dagli USA: missili “SS 20” erano puntati sui Paesi della Nato e altrettanti missili Cruise erano puntati sui Paesi del Patto di Varsavia. In quegli anni si registra una crescente “pressione dal basso” da parte della popolazione mondiale in particolare della popolazione giovanile contraria al riarmo nucleare; una spinta verso l’emancipazione e la ricerca di nuove relazioni tra i paesi del Sud del mondo e il Nord, tra Est e l’Ovest.

L’idea di guerra fredda come operazione di tipo non solo economico – militare ma anche culturale ha avuto seri risvolti nella struttura stessa delle identità nazionali. La tecnologia e i media (industria culturale) in quegli anni giocano un ruolo fondamentale di “ristrutturazione dell’opinione pubblica”. Il rapimento e l’uccisione dell’On. Aldo Moro costituiscono per le due superpotenze l’occasione per raffinare gli strumenti di controllo interno agli stati e di destabilizzazione occulta, operando a tutto campo, anche all’interno degli spazi culturali (giornali e tv) e di elaborazione della cultura cioè nelle università e nei sindacati.


L’elezione del Pontefice polacco

A molti sfugge un legame. C’è da ricordare che in quell’anno muore Paolo VI a Castel Gandolfo nella villa dei Pontefici, è il 6 agosto. Dopo il breve Pontificato di Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani, sale al soglio Pontificio Karol Wojtyla, è un polacco. È il 16 ottobre, festa della Patrona della Polonia. Da Cracovia arriva il nuovo vescovo di Roma, dalla Polonia di fede cattolica, nazione satellite dell’URSS, legata dal patto di Varsavia.

Inizia la fine del mondo diviso in due! L’elezione di Giovanni Paolo II rigenera e attiva energie sino a quel momento sopite. La nazione Polacca che nel novecento è stata una nazione martire: ha subito l’occupazione nazista prima e comunista poi diventa ora motore di cambiamento. Il “non abbiate paura” del 18 ottobre va oltre il colonnato del Bernini, oltre ogni confine. Arriva al cuore degli uomini oppressi dalle dittature di ogni colore, ed è ben compreso dagli uomini e dalle donne di oltre cortina. Vedremo cadere il muro ma solo nel 1989.

Siamo a duecento anni dalla Rivoluzione Francese (1789). È la fine della guerra fredda vinta dall’occidente capitalista contro il nemico sovietico e comunista. Questa vittoria è sotto molti aspetti legata a quel lontano 18 ottobre millenovecentosettantotto.


La rivoluzione Iraniana

Un altro episodio sfugge ai più, un avvenimento che merita un ricordo particolare. Siamo in Asia, in Iran, una rivoluzione capeggiata dagli Ayatolla capovolge il regime del re di Persia alleato degli Stati Uniti. Il controllo dei giacimenti del petrolio è l’interesse che giustifica la presenza degli USA in Iran. È la prima rivoluzione con un’anima religiosa, nello specifico islamica. Molti leggono quest’episodio come la “rivincita del Sacro” sul lento processo di laicizzazione che caratterizza l’occidente. Una rivoluzione compresa poco in Occidente de-cristianizzato, figlio della rivoluzione francese.

Anche in questo caso la memoria di un’identità e la fede condivisa uniscono un popolo e questa forza travalica ogni confine. Il cambiamento è lento, inesorabile e radicale. In occidente abbiamo conosciuto il mutamento avvenuto in Iran mediato dalle agenzie di stampa occidentali: un filtro opaco perché incapace di cogliere la portata del cambiamento. La Rivoluzione islamica con la sua anima offre all’occidente laico una lettura della storia in grado di comprendere il “fattore religioso” nei processi politici, culturali ed economici.

Alla luce di ciò si può anche dire che il millenovecentosettantotto introduce un nuovo paradigma che interrompe il processo di laicizzazione della cultura avviato dalla rivoluzione francese: è la rivincita di Dio.


Il tempo dell’oltre l’essenza

Il millenovecentosettantotto non è un anno come tanti. Queste osservazioni evidenziano un anno speciale, un “annozero” che darà origine agli attuali scenari geopolitici. Il “laboratorio polacco” con la caduta - non violenta - del muro di Berlino e la rivoluzione islamica reimmettono il fattore “Dio” nella storia in quanto collante delle identità dei popoli.

Dagli inizi degli anni duemila l’attenzione è rivolta al fondamentalismo islamico che occupa lo scenario emotivo globale. Non si cancellano facilmente le immagini generate dalla visione in diretta dell’11 settembre 2001. Il terrorismo ieri era ideologico, oggi è sinonimo di fondamentalismo religioso e di identità negate che emergono facendo uso della violenza.

Ma come sappiamo la “paura” è una leva utile e decisiva per il governo del “sistema globale” culturale, politico ed economico. Senza “paura” non si governa il mondo. La mente umana da sempre ha compreso ed utilizzato il “fattore” sicurezza per accrescere il controllo sui gruppi sociali ed oggi appare chiara e delineata una narrazione globale, centrata sull’utilità di una strategia planetaria capace di coinvolgere le singole nazioni e territori, continenti e media in un’unica interpretazione del reale. Un “pensiero unico”. Ciò spiega perché per i media le “vittime” non sono tutte uguali. I morti sono trattati in modo diverso perché i cadaveri divengono “significanti” di discorsi, funzionali ad un progetto di mutamento culturale e di adattamento sociale. Così si spiega perché alcune “vittime” hanno i riflettori accesi per giorni e settimane, commuovono l’opinione pubblica mondiale e attirano una solidarietà planetaria ed altre vittime rimangono nell’ombra, ignorate e non esistono perché non appaiono, non occupano gli spazi delle TV, non c’è pericolo di essere dimenticate.


L’Associazione Hermes

L’Associazione “Hermes” ha come riferimento quel “tempo” in “bianco e nero” ormai lontano, per cogliere nell’oggi il senso del cambiamento, per interpretarlo in chiave educativa attraverso progetti di sviluppo sociale. È evidente che decidere di dar “vita” (anche se in modo virtuale) al sito web dell’Associazione Hermes con un editoriale così impegnativo significa compiere un passo importante nella lettura della “storia” e dell’educativo, dare una precisa indicazione di percorso all’avventura iniziata. Si vuole leggere l’educazione in chiave geopolitica nell’era della globalizzazione e della omologazione culturale. È una scelta necessaria per dire una parola Altra, non lasciata al caso per non seguire la moda del momento.

La condivisione di queste idee, di questa posizione, della visione e della prospettiva è al tempo stesso lo sfondo culturale e l’anima dell’associazione.


Luca Utili